LA MAI SPOON RIVER

sabato 8 marzo 2014

8 marzo 2014

 

8 marzo 2014



Penso alle donne di un secolo fa, che manifestavano coraggiosamente per i diritti femminili, soprattutto in America, dove ottennero il suffragio universale nel 1918. Indossavano ancora  gonne lunghe, castigate sotto i cappelli a tesa larga, artigliate all’ottocento. Ma bastò poco tempo e gli anni venti le videro trasformate, accorciarono gonne e  capelli, adottarono lunghi bocchini, abiti squadrati, lineari, "cubisti". Erano donne proiettate nel futuro, sull’onda della nuova velocità tecnologica e del primo Futurismo progressista. Un elite, certamente, come le donne bellissime dipinte da Tamara de Lempicka. Un lampo subito spento dall’antifemminismo fascista. Dopo la guerra la Costituzione Italiana garantì pari dignità sociale e pari diritti rispetto al genere maschile, ma il contesto sociale non era pronto ad assimilare tali diritti. La donna del dopoguerra era docile e remissiva, elegante e raffinata, tutte curve e vitino da vespa, guanti al gomito e gonne al ginocchio. Erano donne strepitosamente belle, la moda raffinata ne esaltava la femminilità. Penso alle donne procaci dei film anni cinquanta, penso a mia madre e alle sue amiche. Erano donne che facevano della bellezza la loro arma migliore tuttavia erano donne ancora totalmente subordinate all’uomo. Dedite alle mansioni domestiche e alla famiglia, oppure impiegate in lavori faticosi umili pericolosi sottopagati.  Fino agli anni sessanta in cui progressivamente l’emancipazione progredì, si accorciarono le gonne, si rivoluzionarono i costumi e la posizione all’interno della società cambiò radicalmente. Fu solo nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia che i principi costituzionali del ’48 divennero legge.

Io negli anni settanta ero una ragazza, non sono mai stata una femminista sfegatata, ma credevo nell’uguaglianza sociale e nell’emancipazione femminile a largo raggio. Eravamo un gruppo di amiche che a riguardarle oggi, a tanti anni di distanza, rappresentavano bene il loro tempo. Eravamo all’avanguardia. Ci muovevamo in gruppo, come un branco. Frequentavamo i locali notturni, osterie, discoteche, pub. Ci sentivamo forti, sicure ed eravamo il terrore della fauna maschile della zona, perché l’ironia, la presa in giro, la battuta salace, ridicolizzante erano il nostro linguaggio contro un mondo maschilista che resisteva radicato profondamente nei comportamenti e negli atteggiamenti sociali. Eravamo delle demolitrici di io maschili. Delle frantumatrici di identità virili, fagocitatrici di bulli arroganti, di bei tenebrosi, di patetici residuati dongiovanneschi. Si andava in discoteca e si ballava tutte insieme e il vortice energetico che si creava intorno a noi era una forza centrifuga da tornado. Eravamo le Erinni di una nuova era. Facemmo danni, non c’è dubbio. Gli uomini gli sceglievamo noi in un’inversione totale dei ruoli. Fare sesso era cosa facile. Ma eravamo pur sempre donne e se si cadeva in balia del sentimento eravamo vittime ridotte ad ameba, elucubranti all’infinito, nell’elaborazione impossibile dell’amore, in ogni sua forma. Penso che la mia generazione abbia giocato un ruolo di transizione importante, uno scatto nell’arco evolutivo che si spiega solo parzialmente con la variazione dell’ambiente contestuale. Figlie di un tempo che ha ribaltato e confuso i generi, mischiandoli.  Non so se nella combinazione migliore.

venerdì 21 febbraio 2014

LA MIA SPOON RIVER

MM


MM lo incontravi dappertutto, e se non incontravi lui, incontravi il suo nome e cognome, sempre, ovunque. Una presenza costante in paese. Faceva l’elettricista con piglio artistico, una vena comune a tutta la famiglia.

In lui si esprimeva nell’incostanza sul lavoro, che subiva battute d’arresto inesplicabili per poi repentinamente scattare in un’esplosione di attivismo irrefrenabile. Giorno e notte. Si tiravano fili, si avvitavano morsetti, si inserivano trasformatori, si completavano i quadri e il lavoro era fatto, tutto di un botto. Era un uomo piacente. Capello riccio portato lungo tipo anni settanta, viso regolare con grosse labbra sensuali. Gli occhi che diventavano una fessura quando rideva e le fossette strappa baci sulle guance. Era un uomo che amava le donne, MM. Le amava e le desiderava spassionatamente con una generosità  indulgente riguardo all’età, alla prestanza, alla bellezza canonica. Anche se poi sposò una donna piuttosto bella da cui ebbe una figlia. Di figli a dire il vero si sospetta ne avesse sparsi in giro un numero imprecisato. Era un inseminatore fertilissimo, un creapopoli a largo raggio. Nonché un amante instancabile e generoso.

Lo vedevi alla Lanterna in azione serrata. Un accerchiamento che partiva dal banco del bar, con il gomito appoggiato e un bicchiere di birra in mano, lumare intorno in cerca di una corrispondenza, sguardi diretti, sfacciati, nessuna ambiguità, nessuna obliquità. Riscuoteva un successo particolare con le svedesi e le danesi, le scandinave in generale. Eeeh ci sapeva fare, le trattava con dolcezza e considerazione e insieme con quella mascolinità da sardo doc che aveva conservato per intero. Con quella strusciante insistenza che le lusingava. Le ragazze eccitate dal libero pensiero vacanziero e dall’alcol libertino gli cadevano nelle braccia in men che non si dica. Coscienti o incoscienti che fossero, senza dubbio gaudenti, godenti, gioiosamente in vita. Uscire e fermarsi sotto uno dei passaggi ad arco nei vicoli del paese e spingersi contro il muro, in piedi, senza porre tempo alla fregola dominante era un passo conseguente. Oppure scivolare al piano di sotto della Lanterna, sempre semivuoto e buio, coi divanetti proprio lì in attesa per l’uso. Se l’urgenza ti costringeva a servirti dell’indegno bagno a metà scala, s’intravvedevano maneggiamenti, contorcimenti, movimenti inequivocabili.

Bisogna dire che la vera dimensione di MM era la vita notturna, tanto che e a un certo punto decise di riaprire la Crota, una sorta di taverna discobar sotto il ponte di Sant’Antonio che aveva subito varie gestioni fallimentari e che giaceva nell’umido delle sue pareti da anni. I lavori di bonifica e riqualificazione non furono sufficienti a mascherare il tanfo di umidità che aggrediva le narici non appena ci si entrava, insieme al freddo di un riscaldamento insufficiente reso più penetrante dal vuoto della piccola sala. Al bancone qualche limonese, i soliti nottambuli tiratardi, Gianni Catto, Dado, Brunbarba, Beppe con le narici sempre infiammate che si dilatavano come ad afferrare più aria fresca risanatrice, e le sentivi tirar su mentre in contemporanea il tic all’occhio destro gli faceva arricciare anche un poco il labbro, come se ci fosse un tendine che improvvisamente si contraesse su tutto il lato destro. Veniva da gestioni imprecisate di locali nelle Baleari, da glorie e vite calde e sfrenate, più belle, più dense, e si ostinava a indossare abiti che erano i residui di quelle vite, fra l’hippiesco e l’hawaiano che comprendevano un codino bisunto di capelli radi e strani cappelli fra il clown e il clochard, decisamente fuori luogo in un paesino di montagna. Era il fidanzato parassita di Irma, una delle sorelle di MM.

Allora si beveva gintonic o cubalibre, solo i viveur di un certo calibro si davano esclusivamente al whiskey liscio o con l’acqua a parte, se erano soli, ma se erano in compagnia la bottiglia di Ferrarino, di Berlucchi o di Moet era d’obbligo, a seconda di quanto valeva la conquista. A volte compariva Biba, con la cicatrice che gli attraversava la guancia destra, dall’angolo dell’occhio a quello della bocca. La bocca, una fessura livida, con gli angoli piegati in giù su una faccia scura. L’occhio arrossato e lo sguardo da duro. Le mani in tasca e la testa incassata. Un passato losco con un morto ammazzato al posto suo. Conti in sospeso che si portava dietro insieme a una pistola che si diceva non abbandonasse mai. Posizione strategica a controllare l’ingresso. Tutti sapevano che beveva solo Johnny Walker con acqua a parte e gli bastava un cenno o nemmeno quello per trovarselo servito. Non parlava. Beveva in silenzio e ricordava Humphrey Bogart. Fece una gran brutta fine. Lo trovarono morto sparato sulle colline di Arma di Taggia. Viveva da mesi all’aperto, quattro stracci, poche cose, un cartone sull’erba. Più solo di un cane.

A una cert’ora il dj metteva un boogie scatenatissimo e MM si rianimava all’improvviso come colpito da una scossa elettrica, acchiappava Irma e insieme si lanciavano in un ballo acrobatico ad alto livello di sincronismo. Un’esibizione che riscuoteva sempre un discreto successo, specialmente alla Lanterna dove la gente si fermava in cerchio ad ammirare le agili movenze e anche qualcos’altro. Irma in viso era identica a MM, gli stessi occhi lo stesso naso piccolo dritto con la punta teneramente rotonda spruzzato da una manciata di lentiggini e quelle stesse labbra turgide e sensuali rosso fuoco. Rosso fuoco come i capelli, una cascata di riccioli neorinascimentali lunghi come la schiena. E un corpo piccolo tutto curve generosamente esaltate dagli abiti attillati, un look da easy girl, un po’ kitch che mascherava una rara bontà e una certa ingenuità. Faceva la parrucchiera e il suo negozio si trovava proprio accanto al nostro pub. Una sua piega ti scolpiva i capelli per una settimana e anche due.

Entravo e mi sedevo su uno dei due divanetti da discoteca posizionati a elle proprio vicino all’entrata, sulla destra. Un 'dea di orientale, fra fiorami, incensi, buddha dorati dominava l’ambiente, saturo di profumi e odore di aria bruciata dal fon. Alle pareti dipinte di verde foglia e viola viola i quadri della sorella Daria, l’artista ufficiale della famiglia. Di un surrealismo new age mescolato a visoni oniriche simbolicamente esoteriche di cui non sapevo bene che pensare. Perplessa come tutta la clientela del negozio. Ne ricordo uno in particolare in cui due seni enormi dominavano una pianura desolata, piccoli uomini formica vi si arrampicavano. I seni erano a china, lo sfondo a pastello passava dal buio nebbioso sulla sinistra a un chiarore arancio cupo sulla destra come un sole malato che non riusciva ad emettere luce. Un quadro che trasmetteva una certa inquietudine. Daria, un passato di droghe psichedeliche per allargare mente e sensi, e un presente di anoressia da collasso. Diete macrobiotiche e preghiere fra il sacro e il profano. Se te l’incontravi non ti mollava più con le sue teorie spirituali alternative, le sue sofferenze strampalate e i suoi rimedi olistici. Magrissima, l’espressione della sofferenza incisa sul volto e sul corpo. Il tempo a scadere inciso negli occhi.

A volte compariva MM per aggiustare la parte elettrica di qualche attrezzatura, e lo guardavi stravaccarsi sul divanetto e starsene un po’ lì, col sorriso beato, a sonnecchiare, incurante delle clienti e delle chiacchiere. Poi si alzava strascicandosi lentamente per inginocchiarsi su prese e spine e indolente procedere alle riparazioni. Si percepiva evidente il legame affettuoso che univa i fratelli. Raramente capitava anche Aldo, il fratello elicotterista. In apparenza il più inquadrato, lontano dal resto della famiglia - era un militare, voglio dire, è ovvio che fosse inquadrato. Ma il futuro avrebbe rivelato che la vena artistica apparteneva anche a lui.

E vennero gli anni del sonno. MM perennemente con la palpebre pendenti si aggirava per il paese e i  locali notturni in uno stato di semiveglia straniante. I corteggiamenti perdevano determinazione, si allentavano fino all’abbandono. Fino all’abbandono fisico di un corpo che crollava all’improvviso. Lo si trovava addormentato ovunque e nelle posizioni più incredibili. Come quella volta che Maurizio e Luciano stavano scendendo a bere una birra all’Ippopotamo e  trovano MM in piedi sulla scala col cacciavite in mano appoggiato con la testa alla parete, bloccato lì, da un sonno rapido come la morte. Chissà da quando ci stava? Era andato a fare un lavoro …. C’era chi diceva che fosse perché non andava mai a letto, chi perché era affetto da una qualche malattia del sonno. Sta di fatto che fu un colpo di sonno che lo fece finire sulla rotonda di Cap d’Ail e passare dal sonno alla morte fu un attimo. Chissà se ebbe un istante di coscienza appena prima.

Al suo funerale la gente non stava in chiesa, non stava nella piazza davanti alla chiesa e nemmeno nelle stradine adiacenti.

Tutto il paese e la provincia sembravano vittime di uno stato di disorientamento da abbandono.

MM mancò come un albero, una casa, un vuoto nel paesaggio portato via da una piena improvvisa. Aveva 40 anni.

 

sabato 18 gennaio 2014

Charlotte


CHARLOTTE

Ieri Charlotte stava cucinando il pranzo, si è accasciata a terra, pochi secondi ed è morta. Un attimo ed è andata. Vonnegut direbbe, così va la vita. Semplicemente. Aveva 21 anni, era alta bella solare. Due gambe che non finivano più, il sorriso che illuminava tutto il viso e anche un po' intorno, una grazia naturale nel portamento. Una generosità spontanea. Una fiducia nella vita malgrado la sofferenza già vissuta.

L’ho vista bambina, l’ho vista ragazzina, l’ho vista giovane donna. Fare volontariato alla croce rossa, volontariato alla casa di riposo. Aiutare il padre rimasto infermo per anni a causa di un ictus.

Abitava al Fantino e me le incontravo spesso lei e sua sorella gemella Caroline lungo la strada romana, affiancate, il passo lungo e veloce. Caroline introversa, seria, lei sorridente, aperta. Ciao, ciao. Sembrava un po’ un uccello, un bellissimo airone.


Così va la vita.